Le ambizioni di Illy Sfida americana al gigante Starbucks
Creerà una catena di caffetterie di fascia alta
In casa circola il virus del perfezionismo. Malattia che risale almeno al nonno Francesco e che, giù per li rami, colpisce duramente Andrea e Riccardo Illy (dei loro figli, pur attivi in azienda, è presto per dire). Ma in quale altra impresa potrebbero assumere come slogan “passione e ossessione per la qualità da tre generazioni”? Andrea ci ride un poco sopra, perché dice che questo destino ce l’ha pure scritto nel segno zodiacale: Vergine. “Perfezionista per forza, rompiballe per necessità nel dna familiare” sintetizza il presidente e amministratore delegato di Illy Caffè. Ma stavolta il perfezionista ammette che la prova è più dura che mai. Perché la crisi mondiale picchia meno sul settore alimentare, ma picchia. Frena le vendite dei barattoli di caffè sugli scaffali dei supermercati italiani: la massaia al prezzo ci fa caso. Ma siccome la crisi è bizzarra, nella grande America va all’inverso che in Italia. Il caffè Illy sembra seguire i percorsi del vino italiano, del buon vino italiano. Costa di più, però è un’altra roba e si sente, si vede, si odora.
Illy afferma che al marchio, e alla garanzia di qualità connessa, il consumatore americano assegna un credito crescente. Consumatore americano è termine tanto largo da non dire granché nei fatti. Ci sono i grossolani che bevono di tutto, ma anche i super selettivi. Di qui il guanto di sfida lanciato sulle colonne del Wall Street Journal a Starbucks, che vanta la propria insegna su 11mila punti vendita? “Ma dai! Non siamo mica matti a sfidare Starbucks – dice l’imprenditore triestino – semplicemente ci poniamo l’obiettivo di andare a rispondere al bisogno di qualità lasciato insoddisfatto dalle catene di coffee shop. Andiamo incontro ai singoli esercenti di bar che hanno l’aspirazione di offrire ai loro clienti un servizio e un prodotto al top. Siamo in tutte le principali città con partner molto qualificati e ci vogliamo espandere. Tutto qui”.
Tutto qui. Sembra un programma da poco, ma non lo è affatto. Illy è in America da 27 anni e, secondo le statistiche ufficiali, è la prima marca di importazione negli Usa. Ma occorre aumentare il peso specifico. La conquista dell’America come traguardo, ossia del mercato americano “alto di gamma”, del segmento di consumatori che sanno distinguere tra Franciacorta e vino qualsiasi. La conquista passa attraverso il progetto “Artisti del gusto”, che è una partnership che l’azienda propone a una eletta schiera di baristi. Ai baristi che mirano a servire ai loro clienti un caffè da gourmet, Illy non vende solo la materia prima ma un “pacchetto” composto dalla macchina, dal layout per il locale, consulenza, formazione per il personale. Da notare che “Artisti del gusto”, che in Italia riunisce un migliaio di bar, fattura 34 volte di più di un punto vendita qualsiasi. E Illy funziona da marchio di garanzia. Come il doc per i vini. Per avere un termine di paragone, pensiamo che i bar clienti di Illy nel mondo sono circa 50mila e di questi solo un migliaio sono “Artisti del gusto”. Ma l’America è grande e i numeri del suo mercato possono rivelare grandi sorprese.
Ai corsi dell’Università del caffè, che Illy ha impiantato in 16 sedi sparse nel mondo, un mese fa a New York oltre ai baristi c’era pure una quindicina di semplici cittadini. Ordinary people. Amanti del buon caffè, disposti però a sganciare 600 dollari per una full immersion di due giorni a valle della quale avranno imparato tutto sulla magica bacca, dalla coltivazione della pianta alla tazzina. Avranno soprattutto imparato come prepararsi il caffè a casa, con la classica moka. E che ci vuole, direte voi? Andrea il perfezionista vi improvvisa seduta stante una lezione sulle tecniche di analisi degli aromi e dei gusti, sugli effetti determinati da differenti macinature e tostature, sulla qualità dell’acqua e sulla pressione, sui gas e sugli olii.
Poco importa poi che i consumatori americani vadano a prendere il caffè al bar o se lo preparino in casa. Quel che conta è riprendere a crescere a passo di corsa, come è avvenuto negli ultimi 15 anni, quando il fatturato è passato da 80 a 280 milioni di euro. Ma in effetti dovremmo dire come è avvenuto prima della grande gelata, prima della crisi: nel 2008 i ricavi sono aumentati “appena” del 3% e andrà più o meno alla stessa maniera pure quest’anno. Non male, in tempi in cui il mondo legge bilanci in arretramento pauroso, talora dimezzati e più. Ma “non male” potrebbe non bastare. Di sicuro non basta al perfezionista.
Non basta non solo perché frustra la tensione all’eccellenza. Ma soprattutto perché Illy ha sempre finanziato in modo endogeno la propria crescita e oggi quest’azienda – insieme familiare e globale essendo presente in 140 paesi – è alle prese con tanti versanti di investimento in progetti, prodotti, mercati nuovi. Crescere poco mette in discussione la capacità di sostenere tanti fronti in parallelo e contemporaneamente?
I fronti di sviluppo e di impegno sono davvero tanti. Dal campo del contadino brasiliano alla tazzina. Figuratevi che all’interno dello stabilimento triestino c’è un reparto meccanico, che disegna e materialmente costruisce i barattoli del caffè e addirittura i macchinari per produrre i barattoli stessi. Tant’è che un sofisticatissimo robot made in Germany di recente acquisito non soddisfa il perfezionista e probabilmente sarà rispedito al mittente. Robot tedesco bocciato perché impreciso. Sarà un dettaglio, ma nemmeno i barattoli di Illy sono come tutti gli altri, perché lo specifico tipo di saldatura messo a punto nell’officina di casa consente di mantenere sempre il caffè pressurizzato sotto gas inerte (e non sotto vuoto spinto).
La catena del business è fatta di dettagli. E’ un dettaglio che il caffè sia un unico blend di espresso composto da nove tipi di pura Arabica. Un dettaglio che sia selezionato sin dal campo e poi il singolo chicco vagliato da macchine a infrarossi. Un dettaglio che uno staff di “sommellier” valuti ogni partita, in capo a una filiera di 125 controlli disseminati lungo tutto il processo produttivo. Un dettaglio l’istituzione di un premio che riconosca ai migliori produttori in Brasile, India e Colombia lo standard qualitativo acquisito. Un dettaglio la partnership con la Biennale di Venezia e la collezione di tazzine firmate da grandi artisti contemporanei. Un dettaglio la diffusione della cultura del caffè tramite l’Università. Un dettaglio la creazione di una catena di retail in franchising, chiamata Espressamente Illy, che definisce una impronta complessiva del “luogo” in cui il caffè viene consumato. Un dettaglio l’alleanza con gli “Artisti del gusto”. Un dettaglio la messa a punto di tecnologie proprie per la preparazione del caffè a casa o al bar, con macchine concepite su disegno e brevetto Illy (sull’onda di quel che fece il capostipite Francesco, inventore con la Illetta nel 1935 della progenitrice delle macchine professionali per l’espresso).
Parlare di dettaglio è forse improprio. Meglio dire tassello di un mosaico, dove ogni tessera è singolarmente curata con approccio maniacale. Ma basta in questa burrasca che ogni giorno dà diversi segnali meteo per l’avvenire? Come si fa di questi tempi a costruire un budget vagamente fondato e attendibile per il 2010? Andrea Illy, detto che per configurare gli obiettivi di bilancio per l’anno venturo ha inanellato 120 riunioni con il massimo fine tuning di ogni singola voce, ritiene che “la situazione in sé va vista positivamente. Stiamo sostenendo una cura fitness molto dura, come se ci stessimo preparando alla maratona di New York. Saremo sempre più forti, più tonici, più reattivi. Penso a che a noi basterà essere più efficienti, fare sacrifici per i prossimi due anni e poi avremo una fase di sviluppo ulteriormente accelerato. Da luglio le vendite sono riprese in modo costante e nel 2010 profitteremo della ripresa dei consumi. Va da sé che, per l’economia globale, lo choc è stato molto forte e la convalescenza non sarà breve. Ma noi vogliamo cogliere le opportunità di innovazione in termini di prodotti e di mercati”. In queste parole non va colto un esercizio muscolare, perché non appartiene al profilo del perfezionista. Tant’è, per esempio, che non esprime numeri quando gli si chiede cosa si aspetta dalla partnership con Coca Cola per la distribuzione del caffè imbottigliato chiamato “Illy issimo”.
Quando Andrea Illy guarda con ottimismo all’orizzonte, allude implicitamente anche all’apporto atteso dalle diversificazioni attuate negli ultimi anni. Sotto la regia di Riccardo, la holding di famiglia ha acquisito via via Domori (cioccolato), Damman Frères (casa di the francese), Mastrojanni (azienda vinicola di Montalcino), e una partecipazione in Agrimontana (leader nell’alta pasticceria e confetture). “Da queste sister company attendiamo grandi soddisfazioni. E il motivo in più per crederci è che adesso mio fratello ci sta a tempo pieno”.
PAOLO POSSAMAI da repubblica.it