Ven. Nov 22nd, 2024

liu-jo-1Il tessile-abbigliamento guarda spesso all’Asia con sospetto, ma non è il loro caso: alla fine del 2008 i fratelli Vannis e Marco Marchi hanno dato vita a Liu Jo Asia Pacific, la società di Hong Kong che avrà il compito di guidare proprio l’espansione in Oriente di Liu Jo, specializzata in abbigliamento femminile, che i Marchi fondarono a Carpi (Modena) nel 1995 e che oggi muove un giro d’affari di 195 milioni di euro. «Comincia da lì la nostra nuova era, che sarà segnata dall’ingresso in mercati che non avevamo ancora esplorato» anticipa a Economy Marco Marchi, che di Liu Jo è l’anima creativa.
E per la prima volta racconta di questa svolta, che i due fratelli affrontano assieme, con un totale affiatamento, nonostante i 14 anni di differenza. Il loro rapporto è diventato anche professionale e oggi, sempre insieme, guidano la trasformazione di Liu Jo in piccola multinazionale dell’abbigliamento. «Puntando tutto sul potenziamento della rete distributiva» sottolinea Marco.
Che cosa vi ha spinti ad aprire una società in Cina in un anno di crisi?
In realtà il Paese ci dà soddisfazioni fin da quando siamo entrati nel mercato, nel 2002: era il momento giusto per strategie più «aggressive». E poi abbiamo voluto accettare una scommessa.
Quale scommessa?
Siamo convinti che il governo cinese sia davvero vicino ad approvare dei provvedimenti a sostegno della crescita interna: il potere d’acquisto aumenterà e noi scommettiamo su questo mercato.
Quanto vale l’export per voi?
Il 25%, una quota che finora ci aveva soddisfatti, considerato che abbiamo solo dodici anni di vita.
E ora che cosa è cambiato?
Ci siamo ben consolidati in Italia e abbiamo acquisito i meccanismi adatti a espanderci all’estero: non potevamo più accontentarci. Dovevamo portare avanti quella politica di espansione che avevamo già timidamente intrapreso.
Quando?
All’inizio del Duemila.
E l’Asia oggi che peso ha per Liu Jo?
Vale il 7% dell’export. Ma prevediamo un buon aumento fin da quest’anno, anche se vogliamo procedere con calma per non commettere errori.
Che cosa prevede il progetto-Asia?
Alcune importanti aperture, che si sommeranno ai negozi che già abbiamo: entro il 2009 inaugureremo quattro punti vendita in Cina, per esempio a Pechino e a Shenyang City, e cominceremo a farci conoscere in un mercato nuovo.
Quale?
La Corea del Sud, dove apriremo un corner in uno shopping center di Seul.
I nuovi monomarca saranno di proprietà o in franchising?
Per lo più in franchising.
Il Giappone non naviga in buone acque: lo lascerete da parte per ora?
A dire la verità noi non abbiamo sofferto di questa crisi né in Europa né in Giappone. Abbiamo un monomarca a Tokyo: in futuro si vedrà.
Che ruolo giocherà invece l’Europa?
È fondamentale. Entro il 2009 apriremo una trentina fra monomarca e corner in Italia e in Europa, soprattutto nel Benelux: qui, in gennaio abbiamo siglato una joint venture con il nostro distributore Fashion Club 70.
Come si concretizzerà?
La società si occuperà di investimenti retail: apriremo punti vendita monomarca in comproprietà a partire dal Belgio. Entro aprile inaugureremo un negozio a Knokke, poi uno a Bruxelles nella primavera 2010.
E i mercati americani vi interessano?
Non nascondo che Stati Uniti e America Latina potrebbero far parte del progetto successivo.
L’espansione commerciale porterà a nuove partnership produttive?
Per ora non prevediamo novità in ambito produttivo. Potenzieremo piuttosto la produzione in quelle sedi con le quali già lavoriamo.
Dove si trovano?
Dipende: la maglieria è prodotta in Italia, soprattutto da noi a Carpi, e così i jeans, mentre piumini e capi in cashmere per lo più in Cina.
State valutando anche altri mercati?
Sì: entreremo in Paesi come la Grecia, con un corner ad Atene, e l’Arabia  Saudita e il Marocco, con monomarca rispettivamente a Jeddah e a Casablanca. E ci rafforzeremo in Polonia e in Spagna.
Come sosterrete questi investimenti?
Devo dire che non abbiamo problemi di credito e camminiamo sulle nostre gambe: merito di un doppio gioco di squadra.
Di voi fratelli, immagino.
Soprattutto dei nostri manager. Noi, dal canto nostro, come imprenditori abbiamo sempre capitalizzato l’azienda per prepararla ai periodi di crisi.
Siete mai stati contattati da fondi di private equity?
Beh, quasi ogni giorno.
Proposte allettanti?
Per ora no.
E alla Borsa, ci pensate mai?
Non escludiamo di quotarci,  ma solo se sarà per sostenere una strategia di forti investimenti: che punti per esempio a una serie di acquisizioni.
Lei ha fondato l’azienda con suo fratello: quali sono le difficoltà di una guida a due?
Nessuna, abbiamo interessi diversi: io sono un uomo di prodotto, mio fratello è esperto di finanza. Due ruoli troppo diversi per entrare in conflitto.
Disegna lei tutte le collezioni?
Sì. Del resto nasco a Carpi, dove si respira moda da sempre. E poi il mio percorso imprenditoriale nasce in un periodo di grande fermento per il fashion system, a metà degli anni Ottanta.
Però continuate a tenervi fuori dal circuito della moda. Perché?
Le sfilate sono una vetrina, un po’ come le fiere. Diciamo che ci consideriamo più pragmatici.
Dei momenti critici li avrete pur affrontati, o no?
Parlerei piuttosto di sfide, soprattutto in tema di risorse umane.
A che cosa si riferisce?
Cresciamo da sempre a ritmi altissimi e assumiamo persone ogni anno. All’inizio è stato complicato capire come gestire i neoassunti: immagini un po’, 20 persone nuove ogni mese in periodi nei quali l’azienda doveva trasformarsi per supportare dimensioni più grandi.
Come avete fatto?
Abbiamo seguito una doppia strada: da una parte i nostri «vecchi» dipendenti sono diventati i primi formatori di quelli nuovi. Poi ci siamo aperti a docenti esterni, con i quali organizziamo corsi di aggiornamento.
La linea donna è affiancata dalle collezioni bambino: come va il settore?
Il junior genera un fatturato di 17 milioni, ma abbiamo intenzione di spingerlo, perché nell’ultimo anno le richieste sono aumentate, soprattutto per le collezioni bambina.
E Ajay, il marchio dedicato alle taglie morbide?
È un altro mercato in crescita: una donna vuole sentirsi femminile anche se non è una taglia 40!
Avete mai stipulato accordi di licenza?
Sì: abbiamo dato in licenza ciò che riguarda casa, gioielli, abbigliamento bambina da 0 a 5 anni e calzature junior.
Com’è andato il mercato italiano nel 2008?
Lo dico con orgoglio: è sempre in crescita. I numeri parlano da sé: se in Italia generiamo quasi l’80% del fatturato, significa che il mercato nazionale cresce molto bene.
Siete ottimisti per il 2009?
La campagna vendite del primo semestre è  chiusa e stiamo concludendo quella del secondo semestre. E le stime ci danno ancora segni positivi.
Da poco più di un anno avete esteso la comunicazione alla tv. Taglierete gli investimenti nel 2009?
Tutt’altro. Anzi, il budget per la comunicazione passerà dal 5 al 7,5% del fatturato.

da Blogeconomy

Di Margiov