Si parte con un carretto sgangherato, su e giù per le Langhe, e si arriva al franchising con 1400 negozi sparsi in 34 Paesi. A una capo della storia c’è una vestaglietta a mille lire, dall’altro un fatturato annuo da un miliardo. Di euro.
«Fu mio nonno a iniziare l’attività del gruppo ai primi del Novecento – racconta Giuseppe Miroglio, amministratore delegato dell’azienda di abbigliamento Miroglio spa – prima come ambulante di bachi da seta, poi come produttore di vesti da donna a pochi centesimi». Per oltre un’ora, l’imprenditore tesse la trama della vicenda famigliare e aziendale, ieri durante la lezione magistrale al centro Sant’Elisabetta. Davanti, nell’aula del campus universitario, il 37enne ad del gruppo albese ha una platea di 35 iscritti al nono master in Marketing management, organizzato dal nostro ateneo e dal Sole 24Ore.
E’ il terzo «special guest» del corso, Miroglio. Prima di lui sono stati ospiti Marco Rosi, patron della Parmacotto, e Andrea Illy, il re del caffè. La scelta, stavolta, è caduta sul giovanissimo discendente della dinastia del tessile piemontese, titolare oggi dei noti brand d’abbigliamento «fast fashion» e a portata di portafogli MOtivi, Oltre, Elena Mirò, Caractère. «Tutti i nostri relatori – spiega il professor Guido Cristini, direttore del corso – sono testimoni di una grande storia di successo aziendale». Per questo, alla fine della lezione, per Miroglio c’è pronta una targa col sigillo in argento dell’ateneo parmigiano, segno di riconoscimento da parte del rettore, Gino Ferretti. «La storia dell’impresa – aveva esordito Giuseppe Miroglio – è sempre stata legata a doppio filo con quella della nostra famiglia. Iniziò il mio bisnonno e proseguì con forza mio nonno, di nome Giuseppe come me». Prima venne la vendita porta a porta di stoffe sulle colline di Alba, loro città d’origine, poi l’acquisto di negozi e la nascita – nel 1947 – della prima officina specializzata nell’intera filiera del tessile. «Oggi l’azienda è suddivisa in Miroglio fashion e Miroglio textile. E’ la prima delle due a totalizzare l’80% del fatturato annuo, pari a un miliardo di euro. Ha 11 mila dipendenti e 59 unità operative in 34 Paesi». La svolta, dice l’ad, arrivò negli anni Ottanta con la delocalizzazione della produzione e poi con il franchising: «Fummo i primi a farlo, i pionieri di una formula aziendale di successo». La storia si ripete oggi, nella burrasca dei mercati mondiali: «Persino i grandi marchi dell’alta moda, in questi tempi di crisi, si stanno orientando alla fascia di mercato medio-bassa».
da la gazzettadi parma Marco Severo
Qualcuno si ricorda Vitale Miroglio Tognon e la Bimota ?
ps