CLT – Musei, la nuova frontiera? Franchising e biglietti last minute
Una delle ragioni del successo delle compagnie low cost è stata l’invenzione dei last minute, biglietti a prezzi quasi stracciati pur di non lasciare un sedile vuoto su un volo che sarebbe partito comunque. Oppure prezzi altrettanto convenienti per prenotazioni effettuate con largo anticipo. Le ferrovie hanno iniziato ad impiegare questo modello alle tratte ad alta velocità, ma nessuno ancora ha mai pensato di applicarlo anche ai beni culturali, nonostante nei giorni di scarsa affluenza questo non provocherebbe ripercussioni negative sulle entrate. Altro caso, quello del franchising, formula che alcuni dei più musei del mondo hanno preso a copiare dai brand: nel 2007 la Repubblica francese ha firmato con gli Emirati Arabi Uniti un accordo per costruire un nuovo Louvre a Oriente, mentre il British museum ha concluso una partnership con il Museo nazionale di Pechino. L’Italia, al contrario, pur rappresentando il più grande museo a cielo aperto del mondo, col più alto numero di siti Unesco e un’incidenza del turismo e del suo indotto pari a quasi il dieci per cento sul Pil (210 miliardi di euro) anziché andare a cercarli, i visitatori li aspetta. E le risibili performance stanno a confermarlo, visto che la prima struttura italiana, gli Uffizi, con un milione e mezzo di presenze si piazza appena al 23esimo posto, a fronte gli 8,5 milioni del Louvre e i sei del British.
“Ma oggi ci sono numerose opportunità per espandere i ricavi: si possono istituire nuove e più redditizie fonti di profitto come il franchising o i programmi di membership, aprendo le porte a ricevimenti, alle convention e all’organizzare di eventi scientifici e culturali – afferma al VELINO Michele Petrucci, presidente dell’Agenzia per lo sviluppo delle amministrazioni pubbliche della Regione Lazio (Asap), che domani affronterà questi temi a Napoli nel corso di una lectio magistralis alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, in occasione dell’avvio del corso di alta formazione in Gestione e Promozione di beni ed eventi culturali”. La vera occasione, tuttavia, secondo Petrucci sarà ottimizzare la tariffazione: “Niente più biglietti a prezzo fisso, ma diversificati in base al giorno, all’orario o all’affluenza”. In pratica, il “revenue management” applicato ai beni culturali, in modo da realizzare i maggiori ricavi in ogni periodo dell’anno come già si fa con le camere d’albergo e i voli aerei e come già accade in Inghilterra e negli Usa. “Senza dimenticare le sinergie, che non vanno limitate agli hotel – aggiunge il presidente dell’Asap – ma anche eventi-spettacolo dei vari campi, come lo sport, in modo da attrarre tutta una serie di destinatari che non vengono per il bene culturale in sé ma per altre ragioni”.
Resta il fatto che un patrimonio inestimabile e diffuso, come quello italiano, in un bilancio sempre più asfittico viene spesso concepito come un fardello e una voce di spesa quasi inutile. Un capitale “dimenticato” che al contrario, in virtù della correlazione fortissima con il contesto territoriale di riferimento, potrebbe essere in grado di mettere in moto un considerevole processo di sviluppo, specialmente per quelle aree del Paese ridotte a una marginalità da un’endemica arretratezza o dalle trasformazioni economiche. “I musei dei centri minori dovrebbero essere incentivati a dare vita a dei network in modo da costituire dei veri e propri che darebbero modo di accedere ai finanziamenti europei e di diventare degli autentici poli di attrazione – aggiunge il presidente dell’Asap -. Ma bisogna anche ripensare le forme turismo classico puntando sullo sviluppo della rete: la realtà virtuale sarà fondamentale, perché ci sono musei in cui non si andrà mai di persona ma che si potrebbero visitare pagando una piccola somma direttamente da casa”.
Ma le sole innovazioni basteranno a rivoluzionare un ambito ancora dominato da logiche di mera conservazione? “C’è un’effettiva e generale resistenza culturale ma anche molta incapacità gestionale – ammette Petrucci -. È accaduto spesso in passato che a consistenti investimenti non abbiano fatto seguito ritorni economici all’altezza della situazione. Per questo occorre una semplificazione normativa che preveda fra l’altro l’apertura alla gestione ai privati e l’esternalizzazione di alcuni servizi. Il problema però è che si continua a parlare di investimenti e valorizzazione del patrimonio e poi nella pratica ci si riduce a tagli indiscriminati negli investimenti: tante belle parole che però lasciando intendere che si considera la cultura solo come un peso e non come un vero volano di sviluppo”.
Paolo Fantauzzi da ilvelino.it