Ven. Nov 22nd, 2024

Futuro roseo per il biologico? La crisi non scalfisce il settore
Alcuni tra i massimi rappresentanti del mondo bio hanno raccontato la propria esperienza. In un momento difficile come quello attuale c’è chi ha riversato il proprio margine operativo sullo scaffale del cliente finale. Obiettivo: mantenere le posizioni raggiunte faticosamente in questi anni

sanaIl mondo del biologico si è riunito nel corso delll’edizione 2009 di sana a Bologna per discutere sul proprio futuro. Lo ha fatto presentyandosi al pubblico, con l’orgoglio di chi crede in ciò che sta realizzando di anno in anno.

Dal convegno “Il futuro del biologico. Un caso di successo nonostante la crisi”, è emerso un quadro generale interessante, e di questi tempi di vacche magre non è affatto trascurabile un segnale così roseo e promettente.

Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio, il marchio di una società consortile che associa imprese italiane specializzate nella produzione e nelle commercializzazione di prodotti agroalimentari biologici, racconta la storia di questa società. Nata nel 2000, ha avuto sempre il chiaro obiettivo di offrire una gamma completa di prodotti biologici al largo consumo e di realizzare una politica di marca nel settore coniugando i valori del biologico con il valore di un marchio noto al consumatore.
”Nel 2008 – ha affermato Pari – i prodotti Almaverde Bio hanno raggiunto un fatturato di 22,4 milioni di euro con un incremento dell’8,7% rispetto al 2007 e anche nel primo semestre 2009 registrano un trend positivo con un +3,4% con una brand awareness, secondo l’indagine CallWorld 2009, del 13,9% di notorietà spontanea e del 69% di notorietà globale”.
Risultati ragguardevoli, non c’è che dire.

Giovanni Di Costanzo
, presidente di Bioitalia, ha tracciato un quadro lucido della realtà: “La crisi finanziaria – ha detto – non ci ha risparmiato e anche se possiamo dire che in termini di quantità non abbiamo avuto grandi flessioni, non altrettanto possiamo dire per il valore, che invece ha subìto una forte diminuzione. Ciò è dovuto soprattutto al rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro usa australiano neozelandese , al rublo, alla sterlina.
In altri termini pur di continuare a sopravvivere su questi mercati abbiamo dovuto sacrificare gran parte se non addirittura del tutto il nostro margine.
I prodotti Biologici già costano normalmente il 30% o 40% in più rispetti ai pari convenzionali, si rischiava di far raddoppiare questa forbice allora l’unico sistema è stato quello di scontare i prezzi in modo tale che si avvertissero di meno questi aumenti”.
“In un momento come questo – ha aggiunto Di Costanzo – le aziende, o perlomeno la mia azienda, hanno riversato il proprio margine operativo sullo scaffale del cliente finale al fine di mantenere le posizioni faticosamente raggiunte in questi anni.
Ciò nonostante siamo molto fiduciosi rispetto al futuro poiché quest’azione non ci ha fatto perdere clienti, abbiamo dato la possibilità ai consumatori di poter continuare ad acquistare questi prodotti e quindi pensiamo che una volta passata la bufera il trend di crescita che abbiamo avuto in questi ultimi anni dovrebbe riprendersi.
Mai come in questo momento il settore avrebbe bisogno di appoggi esterni in termini di comunicazione, purtroppo invece assistiamo a degli attacchi gratuiti (come nel caso della ricerca Inglese) che fanno aumentare la difficoltà commerciale in cui ci troviamo”.

Anche Fabrizio Ceccarelli, della Direzione prodotti a marchio Brand manager Coop Italia, racconta la sua esperienza sul campo in Gdo. “Il lancio di un’ampia gamma di prodotti bio ha segnato un forte sviluppo della diffusione del biologico presso i consumatori italiani, aprendo anche per l’Italia lo sviluppo del biologico presso la grande distribuzione. Attualmente – ha tenuto a precisare – sono in vendita 341 prodotti alimentari da agricoltura biologica, un assortimento completo che rappresenta un fattore di distintività, e permette al cliente, se vuole, di alimentarsi solo con prodotti bio”.
Da sempre Coop è impegnata sul tema della salvaguardia dell’ambiente e quest’anno ha lanciato la linea vivi verde Coop, concepita per sensibilizzare le persone sui temi della salvaguardia dell’ambiente, e per realizzare concretamente un’economia sostenibile.
“Mentre la linea bio-logici Coop si focalizzava solo sulla bontà e genuinità dei prodotti, la linea vivi verde Coop rappresenta l’attualizzazione di un nuovo modo di pensare nella società italiana: una maggiore presa di coscienza e maturità del consumatore italiano, che vede nel biologico non più solo un sistema di produzione più naturale che permette di realizzare prodotti che fanno bene alla propria salute, ma anche un driver fondamentale per un ambiente più sano”.
“Si tratta – ha concluso Ceccarelli – non più di uno, ma di due vantaggi concreti del biologico, che il consumatore non vede più disgiunti (come invece accadeva anni fa). In questo senso, il consumatore italiano si avvicina a una mentalità che in Europa, soprattutto nel nord, si è sviluppata circa un decennio fa. In sintesi, l’obiettivo consiste quindi nel sottolineare i due benefit del biologico, ormai considerati dal consumatore “due lati della stessa medaglia”: 1. prodotti buoni, sani, genuini, che fanno bene alla salute; e: 2. a ridotto impatto ambientale, che fanno bene all’ambiente”.

Roberto Zanoni
amministratore delegato del Gruppo EcorNaturaSì, ha riferito che il primo gennaio di quest’anno ha segnato ufficialmente la biologiconascita di EcorNaturaSì, con la fusione tra Ecor Spa e NaturaSì Spa.
Ecor è in Italia il più importante distributore all’ingrosso di prodotti biologici e biodinamici nel comparto specializzato con un fatturato 2008 di 96,5 milioni di euro, in crescita del 15% sull’anno precedente.
NaturaSì è la principale catena italiana di supermercati specializzata nella distribuzione al dettaglio di prodotti biologici e biodinamici, con 67 punti vendita in Italia e 2 in Spagna, un fatturato al consumo 2008 di 78 milioni di euro, in crescita del 20% rispetto al 2007.
“Si è creata così un’azienda che copre l’intero processo distributivo e serve capillarmente un migliaio di punti vendita specializzati in tutte le regioni d’Italia. Oltre ai 67 supermercati ad insegna NaturaSì, parte in franchising e parte a gestione diretta, il gruppo – ha precisato Zanoni – può contare su 260 negozi associati al brand B’io. Il resto comprende negozi ‘indipendenti’ che, pur non essendo abbinati ad un marchio, si avvalgono dei servizi di distribuzione forniti da Ecor NaturaSì (circa 3800 prodotti a listino, consegne in tutta Italia fino a quattro volte la settimana)”.
Ecor NaturaSì sta investendo tra l’altro anche nella produzione primaria con la “Fattoria di Vaira”, l’azienda agricola molisana di cui, dal 2008, detiene una quota importante: qui, su 500 ettari, la Fattoria di Vaira produce ortaggi, uva, olio, latticini con il metodo biodinamico e si pone l’obiettivo di creare un centro di divulgazione e di formazione per giovani che intendono avvicinarsi al metodo biodinamico di agricoltura.

Valentina Fiore
, direttore del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, presenta il nuovo soggetto imprenditoriale che include le cooperative di Libera Terra e altri operatori. L’intento è di realizzare dei processi di collaborazione nella direzione e nel coordinamento delle attività.
“L’biettivo della nuova società consortile – ha riferito Valentina Fiore – non sarà solo quello dare supporto alle realtà che lavorano sui beni confiscati, ma piuttosto di diventare punto di riferimento sul territorio e volano per la diffusione di un modello di economia pulita e giusta. Scopo della nuova società sarà quello di dimostrare che solo tale modello economico garantisce sviluppo e benessere reale alle popolazioni interessate.
L’ambizione – ha proseguito – è di voler dimostrare che l’assegnazione dei beni confiscati in un territorio possa portare vantaggi concreti non solo a chi gestisce direttamente i beni ma in generale anche ai territori e ai produttori vicini”.
Realizzare una produzione di alta qualità nel settore agrobiologico; coinvolgere le forze di associazioni, cooperative, agenzie di lavoro e agenzie per lo sviluppo; è questa, in estrema sintesi, la missione del progetto.
Vini di qualità, in continuo e laborioso cammino verso l’eccellenza. Insieme a pasta, legumi, conserve e miele. Sono tanti i prodotti della legalità del progetto Libera Terra che coltiva da anni le terre confiscate alle mafie nel sud Italia. Sono il frutto di una legge importante: la 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Una legge fortemente voluta da Libera (che raccoglie oltre 1300 associazioni del nostro Paese) e approdata in Parlamento dopo la raccolta di un milione di firme.
Attraverso questi prodotti agricoli ogni cittadino può constatare i risultati ottenuti dallo Stato e dalla società civile in questi anni difficili di lotta alla mafia.
“Certo, le difficoltà non mancano” ha ammesso Valentina Fiore, “ma grazie all’applicazione della legge 109/96 si sta diffondendo anche un metodo di lavoro innovativo: un sistema di relazioni tra società civile organizzata, istituzioni, imprese che, quando c’è stata volontà, coerenza e continuità, si è dimostrato efficace ed ha dato i suoi frutti. Oggi sono in produzione quasi 700 ettari di terreni confiscati alle mafie. Il metodo di coltivazione scelto è quello biologico e le produzioni sono tutte artigianali, al fine di garantire la bontà e la qualità dei prodotti che conservano il sapore antico delle tradizioni locali”.

Un altro carattere distintivo dell’attività sociale delle Cooperative è rappresentato dall’inserimento lavorativo di ragazzi diversamente abili che, altrimenti, difficilmente troverebbero un impiego in una realtà economicamente depressa. Il 30% di tali figure è rappresentato da soggetti svantaggiati. Un lavoro di notevole complessità, che richiede pertanto un impegno e il supporto di tutta la compagine sociale. Inoltre, un fitto calendario di campi di volontariato estivo permette a centinaia di giovani ogni anno di conoscere il progetto Libera Terra, sporcandosi le mani partecipando al lavoro.

Ma ecco nel dettaglio alcune di queste cooperative.

  • La Cooperativa Placido Rizzotto Libera Terra. Nasce nel 2001 grazie al progetto Libera Terra, promosso dall’associazione Libera e dalla Prefettura di Palermo. La Cooperativa Placido Rizzotto opera sulle terre del Consorzio di Comuni “Sviluppo e Legalità” nell’Alto Belice Corleonese. Dal 2005 sono poco più di 200 Ha confiscati alla mafia e a boss del calibro di Brusca e Riina, oltre a un’assegnazione provvisoria di 66 Ha nella zona di Trapani.La Cooperativa Placido Rizzotto – Libera Terra gestisce l’agriturismo Portella della Ginestra, inaugurato nel 2005, e il Centro Ippico “Giuseppe Di Matteo”, inaugurato nel luglio 2006. In Cooperativa lavora un numero variabile di braccianti, oltre ai quattordici soci, ai volontari e ai dipendenti.
  • La Cooperativa Pio La Torre Libera Terra. Costituita ufficialmente il 22 giugno 2007, ancora su beni del Consorzio Sviluppo e Legalità, conta oggi tredici soci e ha sede a San Giuseppe Jato. Nel 2008 c’è stata la prima trebbiatura di grano e, grazie alla donazione di alcune arnie dai soci Conapi, la prima produzione di mieli di sulla e di eucalipto. Il proposito è ora di produrre miele e di partecipare alle produzioni di vino, olio, legumi e pasta. Consegnato a novembre 2008, e di prossima apertura, è l’agriturismo Terre di Corleone realizzato su un bene sottratto a Totò Riina.
  • La Cooperativa Terre di Puglia Libera Terra. E’ la penultima nata tra le cooperative Libera Terra, ed opera in provincia di Brindisi. Fondata il 31 gennaio 2008 da giovani pugliesi per il riutilizzo dei beni confiscati alla Sacra Corona Unita, la cooperativa opera nei comuni di Mesagne, Torchiarolo e San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi. Si tratta di circa 20 ha di terreno seminativo e di 30 ha di vigneto. Sono oggi sei i soci della cooperativa.

Adriano Poletti, amministratore delegato Fairtrade Italia, marchio di certificazione del Commercio Equo e Solidale in Italia, racconta del suo consorzio senza scopo di lucro, costituito da organismi che operano nella cooperazione internazionale, nella solidarietà e nel Commercio Equo e Solidale, nato nel 1994 per diffondere nella grande distribuzione i prodotti del mercato equo.
Fairtrade TransFair fa parte di Flo (Fair Trade Labelling Organisations), il coordinamento internazionale dei marchi di garanzia, insieme ad altri 21 marchi che operano in Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico e Giappone. In pratica, Fairtrade TransFair garantisce che i prodotti con il suo simbolo, che si possono trovare nei supermercati, siano stati lavorati senza causare sfruttamento e povertà nel Sud del mondo e siano stati acquistati secondo i criteri del Commercio Equo e Solidale. Così il cioccolato, il cacao, il tè, il caffè, le banane, il succo d’arancia, il miele, il riso ma anche i palloni da calcio e presto altri nuovi prodotti, saranno più buoni sia per i consumatori che per i produttori.
Il sistema FLO – Fairtrade TransFair, attraverso quasi 80 aziende licenziatarie, lavora nel mercato italiano con 55 gruppi di produttori di Africa, Asia e America Latina coinvolgendo circa 600.000 persone nel Sud del Mondo. Sono organizzazioni prevalentemente cooperativistiche, che si impegnano ad una gestione collettiva e democratica della loro struttura e ad impiegare parte dei ricavi in progetti di sviluppo sociale per le comunità e il territorio. Spesso il margine di guadagno Fair Trade consente loro di rendere più agevoli le vie di comunicazione, di accedere all’acqua potabile e all’energia elettrica, di costruire scuole ed ambulatori medici.
Nelle produzioni in cui non è possibile la gestione cooperativistica (come le arance, le banane o la lavorazione semindustriale dei palloni), l’inserimento di aziende nel circuito del Commercio Equo e Solidale è subordinato alla costituzione di un fondo per i lavoratori, del rispetto dei diritti sindacali, della corresponsione di un salario adeguato. Più della metà dei Prodotti certificati FairTrade sono biologici, a riprova di una consolidata sinergia tra i due valori : giusto e sano , eco ed equo .

Fabrizio Piva
, invece, è amministratore delegato di CCPB, il Consorzio per il controllo e la certificazione dei prodotti biologici.
“Sono trascorsi 21 anni – ha dichiarato Piva – da quando iniziò questa attività, allora come Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici, ed ha accompagnato la crescita di un settore che allora era di “super nicchia” mentre oggi rappresenta un settore vero e proprio ed al tempo stesso uno strumento di crescita sostenibile cui orientare il sistema produttivo.
 biologico1La certificazione è lo strumento attraverso il quale conferire garanzia alle produzioni e, quindi, al mercato ed al consumatore, ma è anche uno strumento di comunicazione e di “mediazione” verso il medesimo consumatore; al tempo stesso è strumento per l’equa applicazione delle regole produttive e conseguentemente per una leale competizione delle imprese su tutti piani, compreso quello internazionale”.
“Anche il biologico – ha tenuto a precisare Fabrizio Piva – in questi anni ha cambiato pelle ed ha accompagnato la rapida evoluzione socio-economica che ha caratterizzato il nostro Pianeta. Sono cambiate e al tempo stesso sono state completate le norme di produzione, importanti aree geografiche quali USA, Cina, Giappone e molti altri Paesi si sono dotati di leggi che disciplinano l’intero processo di produzione biologico favorendone così una repentina crescita in virtù sia di una maggiore sensibilità ambientale, da parte dei cittadini e dei governi, che degli investimenti delle imprese che hanno differenziato la produzione ed hanno favorito e sollecitato una crescente domanda di mercato”.
“Tutto ciò – ha aggiunto Piva – è stato possibile anche grazie ad un’ intensa attività di innovazione che non sempre è stata il frutto di una altrettanto intensa attività di ricerca e sperimentazione, ma piuttosto della forte volontà che le imprese hanno sperimentato sulla loro pelle sopportandone spesso i costi in maniera diretta. CCPB ha da sempre perseguito l’obiettivo di rendere disponibile il biologico al maggior numero di consumatori; solo in questo modo si riducono costi e prezzi e si trovano le migliori soluzioni tecniche per renderne i prodotti più competitivi rispetto agli analoghi convenzionali”.

L’attività di controllo e certificazione ha favorito il rafforzamento di un settore che in Italia raggiunge più di 50.000 operatori, ed a livello mondiale oltre 1,2 milioni, introducendo nei sistemi produttivi elementi tangibili in termini di miglioramento della qualità sia in relazione ai processi che ai prodotti e, quindi, rendendo più certo e più stabile il raggiungimento di determinati requisiti qualitativi che a loro volta hanno contribuito a rafforzare una crescente domanda di mercato.

Tutto ciò sta manifestandosi anche in un momento non certo facile per l’economia internazionale; l’incremento di superficie biologica dal 2007 al 2008 del 4%, una maggiore incidenza percentuale della SAU bio su quella totale, che per l’analogo periodo è passata dallo 0,56% allo 0,78% ed un aumento del fatturato globale del 10%, dai 46 ai 50 miliardi di $, sono sicuramente segnali incoraggianti che fanno ritenere come il biologico possa rappresentare un risposta alla disillusione ed alla volatilità dei mercati e nello stesso tempo ad una maggiore “domanda di ambiente”.

di Carlotta Baltini Roversi e Luciano Didero

da TEATRONATURALE.IT

Di Margiov