La rivolta dei concessionari contro McDonald’s
I negozi che sono affiliati in franchising alla multinazionale della ristorazione pretendono maggior rispetto: tra le loro richieste figurano una riduzione dei costi di affitto.
di Simone Ricci
È un periodo nero quello che sta vivendo la McDonald’s Corporation. Come se non bastassero le difficoltà nel vendere hamburger negli Stati Uniti, ora si aggiunge anche una “rivolta” dei produttori di birra che sono concessionari per la celebre multinazionale. Sono proprio questi ultimi, i quali rappresentano ben il 90% dell’intera catena operativa (oltre 14mila sedi americane per la precisione), che non riescono ad aprire nuovi ristoranti o a modernizzarli, incidendo negativamente sulle vendite.
Secondo una lettera inviata lo scorso 11 aprile da un concessionario, la collaborazione con McDonald’s si sta progressivamente deteriorando: non è comunque la prima volta che si presenta una situazione del genere. In effetti, nei primi anni Novanta del secolo scorso vi furono casi non molto diversi da quello attuale, tanto che la compagnia di Oak Brook si vide costretta a rallentare la sua espansione territoriale (fino al 1995 furono aperti 1.130 nuovi ristoranti, poi scesi a 92 tre anni dopo).
Le tensioni con i fornitori e i negozianti sono salite alle stelle e coincidono con i tentativi di crescita della stessa McDonald’s: a luglio, il titolo azionario ha perso quasi il 3%, come non accadeva da ben nove mesi, mentre i profitti del secondo trimestre dell’anno (aprile-giugno) non sono stati all’altezza delle stime degli analisti. Anche il resto del 2013 dovrebbe essere caratterizzato dalla stessa debolezza.
I concessionari chiedono una riduzione dei costi di affitto, oltre a un intervento deciso sulle royalties, le percentuali sugli incassi per intenderci. Magari si può seguire l’esempio di un’azienda concorrente, Burger King, alle prese tempo fa con una rivolta identica a quella di cui si sta parlando e costretta a tagliare le spese. Il costo medio per rimodellare i ristoranti ammonta a 600mila dollari, mentre ogni nuovo negozio richiede un esborso di un milione di dollari.
da iljournal.it