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Come aprire un negozio di sigarette elettroniche

franchising_sigarette_elettronicheNe spuntano ovunque e rapidamente. Ma la forte concorrenza e i nuovi divieti in arrivo, rendono le e-cig un business poco sicuro
16 aprile 2013 di Simone Cosimi

Danno vapore (e nicotina) da fumare a due milioni di consumatori in 1.500 punti vendita italiani. Per un giro d’affari, a livello europeo, che tocca i 500 milioni di euro, quasi un quinto dei quali (80 milioni) solo in Italia. Numeri che raccontano una vera e propria moda per le e-cig, le tanto discusse sigarette elettroniche. Anche se la vita, per le migliaia di spesso improvvisati commercianti allettati da un fiorire incontrollato di franchising e una domanda che non accenna a diminuire, potrebbe presto complicarsi.

Nel caos scientifico e in attesa di ulteriori chiarimenti sui loro reali effetti, si moltiplicano i divieti nei luoghi pubblici, nelle scuole o sui mezzi di trasporto. A dare il via a quest’ondata proibizionista la recente ordinanza firmata dal ministro della Salute Renato Balduzzi: non si vendono e-cig ai minori di 18 anni. Ma come si apre un negozio di e-cig? Wired.it è entrato in un esercizio di Monterotondo, centro di medie dimensioni alle porte di Roma, fra i primi a cedere alle lusinghe del settore e ad alzare le saracinesche già lo scorso autunno. Dando il via a una corsa all’ultimo “svapo”.

“ I documenti – racconta il gestore, che parla con piacere ma preferisce rimanere anonimo – sono quelli necessari per qualsiasi altro negozio. La procedura è facile e non occorre molto tempo. Il mio caso è stato oltre tutto particolare, ho impiegato appena dieci giorni ma sicuramente può volerci più tempo, soprattutto ora che il mercato inizia a saturarsi. Bisogna ovviamente aprire una partita Iva, iscriversi al Registro delle imprese e all’Inps. Fondamentale inviare la Scia, la segnalazione certificata di inizio attività, al Comune. Poi si può iniziare”.

Le carte di rito, però, vanno ovviamente inoltrate solo dopo aver preso contatti con la rete di franchising prescelta, visto che il settore – per quanto sia possibile anche mettersi in proprio rifornendosi da un grossista (quasi impossibile, e abbastanza folle, approvvigionarsi da sé) – funziona fondamentalmente con questo rodatissimo sistema. Una scelta che permette investimenti contenuti, e quindi meno rischi, a fronte di alcune garanzie in tema di marketing e pubblicità, oltre che di certificazioni legali: “ Può bastare anche una e-mail dopo una ricerca online – continua il nostro gestore – l’unico relativo problema, allo stato attuale, può arrivare proprio dalla casa madre. Devono valutare la zona, e cioè se hanno già un loro esclusivista per quell’area. In tal caso, si avrà un rifiuto. Al contrario, soprattutto se ci sono marchi concorrenti, ben venga un nuovo punto vendita. L’esclusivista, ovviamente, se ritiene può aprire un altro punto vendita nella sua area senza pagare di nuovo le spese iniziali di affiliazione”.

Considerando che l’attività non richiede aree espositive né arredi particolarmente ingombranti (anche se sullo stile ciascuna sigla ha le sue preferenze e indicazioni) può andare bene anche un locale fra i 20 e i 40 metri quadrati. Dunque, in tempi di crisi, dall’affitto abbordabile. Ovviamente lo spazio deve disporre di tutte le autorizzazioni fra cui destinazione d’uso e impianti a norma, altrimenti chiuderete il giorno dopo. “ Quanto al costo, non so dirti nel dettaglio – continua il rivenditore della periferia capitolina – dipende anche da come uno riesce a organizzarsi, risparmiando magari sul mobilio e così via. Comunque le stime che girano online, fra i 13 e i 15mila euro, mi sembrano corrette. In quella cifra è ovviamente inclusa la “fee” iniziale, la quota d’ingresso da pagare al franchiser all’inizio del rapporto. È però escluso il primo ordine, che dev’essere di un certo importo ed è ovviamente obbligatorio”. Poi, nel corso dell’attività, ci sono da corrispondere alla casa madre le royalties, cioè le percentuali sugli acquisti. Mentre i prezzi delle sigarette e dei flaconi di ricarica, così come di ogni pezzo di ricambio, sono imposti.

A parte i rischi tipici di un franchising (si apre con un investimento limitato, si chiude dopo poco se il giro d’affari non è decente), nel caso delle e-cig si aggiunge un clima che, dopo il provvedimento firmato il 2 aprile scorso dal ministro della Salute Renato Balduzzi – dal 23 aprile vieta la vendita ai minori di 18 anni – sembra poter contenere la mania da “svapo”. Cominciando a limitare i luoghi in cui è consentito inalare. Scuole, enti locali e aziende di trasporti pubblici si sono già mobilitati per equipararle alle classiche “bionde” e impedirne il consumo nei rispettivi luoghi di competenza. Così, per esempio, in alcuni istituti scolastici a Milano e nell’hinterland. I primi ad aver stabilito il divieto assoluto di fumare sigarette elettroniche sono i licei Berchet, il Manzoni e il Moreschi. A Riola Sardo, comune di Oristano, il sindaco Ivo Zoncu ha emanato un’ordinanza con cui si stabilisce che l’uso della sigaretta elettronica è vietato “ nei locali, individuati dalla normativa nazionale in merito al fumo analogico, presenti sul territorio comunale”.

Al Comune di Vicenza è vietato fumarle negli uffici pubblici e perfino San Marino si è unito al gruppo degli scettici. Idem per i convogli ferroviari Trenitalia e Italo: le compagnie hanno fatto sapere che il divieto di fumo prescinde dal tipo di sigaretta aspirata. Ma se state svapando la e-cig non scatteranno le multe (come sui treni della Trenord, 7 euro di sanzione in ogni caso), sarete solo invitati a spegnerla. Divieto anche da Alitalia, ma negli aeroporti si può fumare, mentre Ryanair dimostra più tolleranza, anche se solo nei confronti delle proprie e-cig. Non finisce qui: da Nord a Sud, da Vallo della Lucania a Salerno passando per Lovazzo, nel comasco, sbocciano ordinanze che vietano di “svapare” nei luoghi pubblici. Uno degli ultimi appelli è arrivato dal consigliere regionale dell’Emilia Romagna Giovanni Favia, che ne ha chiesto l’estensione a tutto il territorio. “ Non credo che questi divieti ridurranno più di tanto la torta dei clienti – conclude il rivenditore col sorriso sotto i baffi di chi ha già smerciato migliaia di e-cig – io, per esempio, ai minori di 18 anni non ho mai venduto una sigaretta per mia libera scelta. E il pubblico dei giovanissimi non ha mai costituito una fetta troppo importante degli incassi”.

da wired.it

Di Margiov