La si direbbe la fase di riflusso della globalizzazione. Prima i cantori del libero mercato planetario mostravano le infinite potenzialità di nuovi sbocchi per i prodotti italiani; i vantaggi per un territorio come il nostro (quello toscano e senese in particolare) che aveva una “marca”, un brand (direbbero i comunicatori) molto forti e di qualità; infine, le occasioni occupazionali che si sarebbero aperte con questi scenari sempre in progressivo aumento. Purtroppo le cose stanno andando in tutt’altro modo.
Complice una crisi che, quella sì è globale, e paesi emergenti e capaci di concorrenza, oggi i nostri prodotti rimangono invenduti. I vini sono parcheggiati nelle cantine, i camper ugualmente ma nei piazzali, le terrecotte bruciano al sole e i cristalli non brillano più nelle vetrine. E di conseguenza, gli stagionali in agricoltura non vengono confermati, e per gli altri lavoratori stanno arrivando lettere di mobilità e cassa integrazione. Nelle migliori delle ipotesi.
Non va meglio agli occupati del benessere. E’ di oggi la notizia che Bottega Verde, una delle marchi più conosciuti e diffusi in franchising di creme e altri prodotti di bellezza, a Pienza (Siena) manda a casa 24 tra donne e ragazze. Le sostituisce con un call center, più economico, in Romania
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Peccato che, anzichè sostituire l’immagine dell’azienda con il castello del conte Vlad mantenga i famosi cipressini della Valdorcia. Cipressini che ormai sono patrimonio a disposizione di chiunque, in qualunque parte del mondo, voglia trasmettere un’immagine di qualità e ambiente pulito. Come accadde qualche tempo fa con la Monsanto (multinazionale dell’agroindiustria e degli Ogm) che li utilizzò nella sua Home Page. Per fortuna, in quel caso, l’allora sindaco di San Quirico, Marileno Franci, fu molto fermo e riuscì a farli togliere.
Dunque, gli effetti della globalizzazione ormai sono chiari. Le immagini del nostro territorio sono diventate globali e alla portata e sfruttamento di tutti. Ma i benefici sono andati, e stanno andando, da qualche altra parte. Davvero non si può fare niente? Non sarebbe il caso che le istituzioni, la Regione Toscana in primis, inizino a fare qualcosa? Ad esempio a riprendere in mano quella legge, mi pare promossa dall’allora assessore all’agricoltura Moreno Periccioli, che vietava un uso indiscriminato dei nostri paesaggi? Sicuramente è piccola cosa rispetto ai gravi e impellenti problemi di disoccupazione che molti lavoratori senesi stanno soffrendo in queste settimane. E, tuttavia, potrà permettere di avere ancora quel patrimonio immateriale e di marca che è il valore aggiunto del nostro territorio e che deve essere a disposizione delle aziende che qui investono, producono e danno lavoro, anche e soprattutto per quando la situazione economica ripartirà.
Michele Taddei
da IMPRESS.IT