Sab. Nov 23rd, 2024

La storia – Il palestinese e il cammello con gli occhiali
Shockabab, lo straniero che dà lavoro ai veneti: «Ho vinto la diffidenza»
Naser, 35 negozi e 400 dipendenti: ci ho messo otto anni

shockababSul tavolo un libretto che la dice tutta: «Metti in pratica quello che sai». Alle pareti, accanto alla fo­to delle figlie e di un incontro con Arafat, il faccione di un cammello con occhiali e barbetta che somiglia a un cartone anima­to. Poco più in là le immagini colorate di mille e un menu che sono un inno dissa­crante al kabab. Naser Ghazal non sembra di ottimo umore. Comprensibile. Anche per lui sono giorni di Ramadan. Perfino qui si digiuna fino al tramonto, in questo angolo di Nord Est, in un capannone ac­quattato fra le villette, a due passi dal cen­tro di Zero Branco. Giornate faticose per il re del kabab, per questo palestinese quarantaquattrenne che in otto anni ha messo in piedi un impe­ro grazie al mitico involtone. La catena di franchising Kabab International, di cui Na­ser Ghazal è anima, corpo, creatività, orga­nizzazione, passato, presente e futuro ­nonché direttore commerciale – è un’ecce­zione a più regole. Alla faccia della crisi e oltre ogni luogo comune sull’immigrato. Dal 2001 a oggi l’attività è cresciuta del trecento per cento. E non ha subìto pause in quest’ultimo anno. Dal primo Shocka­bab a Mestre, al numero 35 che aprirà a ot­tobre a Paese.

In mezzo ci sono i locali di Marghera, Mogliano Veneto, Preganziol, Scorzè, Treviso, Conegliano, per scendere in Calabria, Campania, Abruzzo e in Sicilia, e risalire, con qualche Falafel in più, perfi­no in mezzo ai monti, a Valle di Cadore. L’impresa va pesata nel modo giusto. Nel 2001 Naser distribuiva e consumava nei suoi locali 300 chilogrammi al mese di kabab. Oggi la media mensile è di 40/50 tonnellate, con punte estive di 60. Un re­cord. Raggiunto anche grazie alla partner­ship con una Spa del settore, la Cattel Cate­ring di Jesolo. La storia di Naser Ghazal inizia in Pale­stina. Da qui parte nel 1983 per andare a studiare, a Roma, Marketing del turismo. «Ho scelto l’Italia per passione – racconta ­perché aveva vinto i Mondiali dell’82 e il mio amore a quell’epoca era il calcio». A Roma incontra il suo futuro nella ristora­zione. «Piano piano, non esageriamo. La mia è una famiglia povera, così, da studen­te andavo a lavare i piatti nei ristoranti, poi facevo il cameriere e ogni tanto anche lo chef in cucina. Non è mancata neppure la raccolta di pomodori. Ma intanto la pas­sione cambiava e, dopo la laurea, con tan­ta fatica perché a un palestinese nessuno dava credito men che meno le banche, so­no riuscito ad aprire un piccolo ristorante a Roma».

Ma quello non era il suo sogno. Ci vole­va qualcosa di più originale per sfondare. Bisognava davvero mettere in pratica quel­lo che sapeva e che intuiva. Una vacanza in Veneto e la decisione: si risale lo stivale e ci si butta in una nuova avventura nel no­me del kabab. Nella terra della Lega. Ma questa non è una storia di politica. Semmai di cultura gastronomica che abbat­te ogni confine e pregiudizio. «L’inizio non è stato facile. Gli italiani non conosce­vano affatto il kabab ed erano diffidenti. I miei clienti erano solo immigrati e i miei locali punti di ritrovo solo per loro. Per so­pravvivere sapevo di dover allargare il tar­get. Così ho pensato a introdurre nei me­nu anche la pizza, sempre a base di kabab. E poi qualcosa di divertente per i bambini. Il tutto in un locale pulito, colorato, simpa­tico, con i camerieri in guanti e cappello. Una cosa diversa insomma, su kebabmisura per il cliente italiano. Con tanto di gadget, lo­cali su 4 ruote, gruppo di fan su Face­book… ». L’esperimento ha avuto successo e il cammello con gli occhiali spopola. Oggi l’80 per cento dei clienti è italiano. Fami­gliole e morosi. Tutti con il panino in ma­no. Chi va da Naser per un nuovo Kaba­bPoint è sei volte su dieci un italiano, an­che perché il capitale richiesto per aprire un locale è di 52mila euro.

La catena dà la­voro ormai a quasi quattrocento persone, la grande maggioranza italiani. E promette di crescere oltre confine. «Abbiamo avuto richieste per Romania, Spagna e perfino Marocco — spiega Naser — ma ci muovia­mo con prudenza. Prima dobbiamo diven­tare ancor più forti a livello nazionale e fa­re attenzione alla concorrenza, spesso slea­le, dei grandi gruppi che hanno capito che questo è un mercato che crescerà ancora». Naser è cittadino italiano dal 1987. La sua famiglia d’origine vive sempre in Ci­sgiordania. Il suo essere un immigrato pa­lestinese gli ha creato problemi più per l’accesso al credito che per altri motivi. «Tante volte mi sono chiesto quante diffi­coltà avrei incontrato da straniero, qui in Italia, qui in Veneto. Quando ho iniziato sa­pevo che avrei dovuto accontentarmi, avrei dovuto lavorare a testa bassa, con onestà e sudore per venirne fuori. Così ho fatto. E a tutti quelli che mi parlano di raz­zismo, a coloro che pensano che l’immigra­zione sia solo delinquenza, beh, a tutti que­sti io rispondo con i fatti. Con il mio lavo­ro e le mie scelte». Tra queste ci sono un pulmino per il trasporto di persone con handicap, che la Kabab International ha contribuito ad acquistare per il Comune di Zero Branco, e la solidarietà ai terremotati d’Abruzzo ai quali in maggio è stato devo­luto l’incasso di una domenica di lavoro.

Macri Puricelli

da IL CORRIERE DELLA SERA

Di Margiov