Franchising è un termine inglese in grado di socchiudere un’imposta che può aprirsi sulle occasioni della vita. Si tratta di una parola che può fornire la possibilità di posare gli occhi su di un panorama economico molto eterogeneo e che viene utilizzata per spiegare come sia possibile diventare commercianti, da un giorno all’altro, schiudendo – localmente – la saracinesca di un negozio che, però, deve rimanere necessariamente affiliato ad un grande marchio nazionale.
Ma non basta perché un’altra “parolina”, e-commerce, “fotografa” un altro fenomeno, in corso di evoluzione in Italia.
In tempi di magra, come sono quelli che la società sta vivendo, iniziare un’attività economica viene considerato quasi come la soluzione finale per combattere la piaga della disoccupazione. Il fenomeno interessa pure la ventesima regione, benché diffuso soprattutto nella sua parte costiera. Vediamo perché?
I giovani, un lavoretto oggi, uno domani, ad un certo momento, stufi di questa precarietà assoluta, magari sollecitando l’intervento economico dei genitori (essendo sufficienti almeno 40mila euro per cominciare), si indirizzano verso un settore dell’economia nazionale che, lento pede, sta diventando trainante.
Nella prima metà del 2008, in Italia, i punti-vendita aperti in franchising erano stati quasi quaranteseimila, con un aumento di oltre tremila unità rispetto all’anno precedente. Ma sul finire dell’anno, molti hanno principiato a chiudere per la nota crisi economica mondiale che tanti sfracelli sta facendo.
Nel Molise, i marchi più gettonati risultano essere CALZEDONIA, GOLDEN POINT, STEFANEL, BENETTON, MOTIVI, FRUSCIO, CHICCO, EURONIC, UNIEURO, EDICOL-E’ e tanti altri, oltre ai servizi finanziari in genere di prestito dietro cessione del quinto dello stipendio.
Sembrerebbe che, nella ventesima regione, le iniziative descritte (che rappresentano l’ultima frontiera di una lotta portata avanti per conseguire il diritto all’esercizio di un lavoro) non abbiano preso in alcuna considerazione i settori della ristorazione, con particolare riferimento a quello delle pizzerie al taglio. Perché potrebbe essere accaduto questo?
Qualcuno dice che i giovani molisani ritengano di potere “esibire” un prodotto più genuino, senza nascondersi dietro marchi altisonanti e “forestieri” che – al contrario – potrebbero instillare nel consumatore un’idea ben diversa circa la bontà del prodotto offerto. Insomma, penserebbero di esprimere – con loghi e con reminiscenze locali – una qualità considerata dal consumatore di gran lunga superiore rispetto ad altre che vantassero una insegna ispirata a sigle non nostrane.
Naturalmente, attivando un contratto in franchising, il neo-proprietario di un negozio acquista dal titolare di un marchio il diritto di poterne fare uso, impegnandosi a rivendere al dettaglio esclusivamente i suoi prodotti ed i suoi servizi. Nel 63% dei casi, è possibile aprire questa tipologia di esercizi pure con meno di 50mila euro; nel 18%, occorrono invece tra i 50 ed i 100mila.
Però è bene sapere che va crescendo anche il numero dei franchisor (vale a dire dei proprietari del marchio) che richiedono un “diritto di entrata”. Nel 57% dei casi, è previsto l’esborso di circa 10mila euro. Altri ancora pretenderebbero il versamento di una royalti, magari proporzionale al fatturato (che può oscillare dall’1 al 5%).
Talvolta, non è necessario rivolgersi agli istituti di credito privati per essere finanziati, essendo possibile mettersi in riga per tentare di accedere ai contributi pubblici somministrati da SVILUPPO ITALIA, una sigla che opera anche in Molise. Addirittura, a mo’ di garanzia, viene richiesta esperienza nel settore solo nel 12% dei casi.
Per il momento, la terra di Vincenzo CUOCO (assieme alla Sardegna ed alla Valle d’Aosta) risulta essere una delle regioni con la più bassa incidenza di punti-vendita in franchising; e, se si andasse ad effettuare una disamina dei singoli settori merceologici, si scoprirebbe che quello alimentare rimane rappresentato dal 6,3% degli esercizi, quello non alimentare dal 54,7, mentre i restanti servizi rappresentano il 39%.
Pure l’e-commerce è in evoluzione; e le Camere di commercio sono riuscite a sintetizzare il settore con una serie di dati che qui si ritiene opportuno fornire, dal momento che si rivelano di sicuro interesse pure per l’economia molisana.
L’indagine sulle aziende italiane, che conducono affari utilizzando la rete, ha fatto registrare – in soli tre anni – un boom pari a + 430%.
Nel 2007 gli affari on line gestiti da operatori della ventesima regione hanno riguardato quindici imprese (operanti soprattutto nell’Isernino), con una variazione-percentuale rispetto all’anno precedente del 36,4%.
Ma, seppure il target non abbia carattere meridionale [e si tratti di una performance ben lontana da quelle della Lombardia (589 imprese) e del Lazio (463)], è pur vero che la provincia di Isernia è riuscita a conseguire una crescita rilevante pari a + 150%.
Nel 2007, le imprese censite, operative nel commercio elettronico dalle Alpi al Lilibeo, sono state 3.422; e, se il loro numero è lievitato del 36,6% rispetto al 2006, esso è cresciuto addirittura del 429,7% rispetto al 2004.
Sulla rete si vendono prodotti di ogni sorta, ma naturalmente i beni che hanno la prevalenza in Molise sono quelli provenienti dalla lavorazione dei prodotti agricoli (vini, olio, verdure, ortaggi sottolio, etc.).
Vi sono piccole industrie nel Basso Larinese che addirittura sono riuscite a vendere il proprio oro verde in Giappone, magari passando per il tramite di ristoratori del Nord che vantano addentellati strutturali nel Paese del Sol levante.
Limitando la fornitura dei dati e-commerce ai confinanti molisani, occorre dire che l’Abruzzo conta 68 imprese on line (con un incremento pari al 65,9%); la Basilicata soltanto 16 (+ 45,5%); la Campania 321 (+ 56,1%) e la Puglia 170 (+ 49,1%).
La variazione 2006-2007 più bassa (+ 7,5%) è stata quella conseguita dal Friuli-Venezia Giulia che però conta 86 imprese.
da PRIMAPAGINAMOLISE.IT