Le sette insidie per chi comincia dal franchising
Alla fine ha ceduto anche Starbucks. Il gigante del caffè a portar via, per provare ad arginare le perdite (sostanziose) nell’area europea, ha deciso di abbracciare la formula del franchising. Un workshop di tre giorni ad Amsterdam per apprendere quante più cose sulle tecniche di tostatura del caffè e il gioco è (quasi) fatto.
Però poi bisogna partire davvero, districandosi tra gineprai burocratici e investimenti più o meno importanti. Perché quello che i più indicano come la panacea di tutte le crisi, nasconde (almeno) sette insidie, declinabili ognuna per un giorno della settimana.
1. Lunedì: Quanto mi costa?
L’investimento iniziale in media si aggira intorno ai 30-40mila euro ma può arrivare anche a cifre molto più alte, a seconda del brand al quale ci si affilia.
A ciò va poi aggiunto il costo di affitto dei locali (un punto vendita va solitamente tra i 40 e gli 80 mq e sarà bene scegliere accuratamente la posizione, privilegiando zone molto frequentate come i centri commerciali), l’arredamento (alcuni franchisor scelgono di sostenere tutte le spese per arredi e attrezzature, girandoli in comodato d’uso gratuito all’affiliato senza royalties o percentuali sull’incasso), costi di gestione (personale, spese per aperture domenicali e giorni festivi), contributi sui servizi pubblicitari, di formazione o sui materiali di comunicazione; le royalties richieste dalla casa madre, il cui ammontare varia in base al contratto (si tratta in pratica del canone che il franchisee verserà al franchisor in cambio del supporto tecnico, commerciale, gestionale e informativo, preziosissimo per il successo dell’attività.)
Ancora: il contributo d’ingresso, o Fee, non sempre richiesto ma comunque da considerare. Prima di scegliere, bisognerà valutare attentamente il peso economico complessivo dell’iniziativa perché sarà possibile incontrare royalties basse ma poco performanti e viceversa.
“Nel food, ad esempio – spiega Antonio Fossati, presidente Rds Consulting, società che organizza il Salone del Franchising di Milano – si ha una royalty fissa mentre nei franchising di prodotti e servizi si tende a dare una royalty che va dal 2% al 5-6%”.
2. Martedì: Qual è la vita media di un franchisee?
Non c’è dubbio che un’attività in franchising incontri un rischio di fallimento minore rispetto a una completamente indipendente. Ma la possibilità esiste ed è bene tenerne conto.
Solitamente, meno del 5% delle aziende in franchising fallisce. Il dato è significativo, soprattutto se collegato al trend generale che vede il 30% delle piccole attività indipendenti chiudere entro il primo anno e uno scarso 20% superare i 5 anni.
Va da sé che le chance di avere successo aumentano nelle grande città e nei poli commerciali più vitali. Non è un caso, infatti, che Lombardia e Lazio guidino la classifica delle regioni con maggior numero di imprese attive in franchising, rispettivamente con 8.400 e 6.600 punti vendita.
3. Mercoledì: Quanta burocrazia mi aspetta?
Quello degli adempimenti normativi/amministrativi, è uno dei tasti dolenti, anche per questo tipo di attività. Per quanto l’Osservatorio Confimprese preveda per il 2014 l’apertura di 700 negozi (tra affiliati e di proprietà) per un totale di circa 4.200 nuovi posti di lavoro, la trafila da seguire sarebbe demotivante per chiunque.
Per aprire un ristorante, ad esempio, sono necessarie 38 autorizzazioni.
“Il concetto di franchising è identico in tutto il mondo, ma ciò che penalizza l’Italia è la burocrazia. Solo con semplificazioni serie e non di facciata si potrà incentivare il sistema delle aggregazioni commerciali” – sottolinea Mario Resca, presidente di Confimprese.
Spesso inoltre, le reti che cercano di diffondere il proprio business sul territorio nazionale si trovano a dover fare i conti con normative sul commercio che cambiano da regione a regione, producendo ulteriore confusione.
“Diciamo che un vantaggio, se così vogliamo chiamarlo, esiste. Il franchisor ha già affrontato tali problemi sul proprio punto vendita diretto e su tutta la rete, sa quali sono i passi da compiere e le lungaggini burocratiche da affrontare per arrivare all’apertura nel più breve tempo possibile. E’, in un certo senso, preparato” – spiega Italo Bussoli, Segretario Generale Assofranchising.
4. Giovedì: Come divento imprenditore?
Se è vero che il franchising viene scelto da molti neofiti del commercio perché permette di farsi strada sul mercato mantenendo le cinture di sicurezza ben allacciate, è anche vero che imprenditori non ci si improvvisa.
Il franchisee dovrà essere pronto a correre rischi, ad affrontare problematiche legate alla gestione del personale e dovrà essere capace di imprimere un’anima al proprio negozio, differenziandolo dagli altri, pur mantenendolo nella scia del brand al quale si è affiliato.
Nato come rete di imprenditori, ovvero di soggetti per lo più qualificati ed esperti, oggi il franchising ha abbassato ogni barriera all’entrata, con il conseguente rischio che spesso il franchisee oltre che inesperto si rivela inadatto al compito che dovrà svolgere. Cosa che ci porta direttamente al problema del venerdì…
5. Venerdì: E se non vado d’accordo con il franchisor?
Chi si avvia a gestire un negozio in franchising, deve avere ben presente che si tratta di un’attività non completamente libera. Avrà margine di azione, certo, ma dovrà comunque sottostare alle scelte strategiche della casa madre ed essere pronto a gestire i suoi controlli.
“Le migliori partnership non si improvvisano – spiega Graziano Fiorelli, presidente Assofranchising – richiedono tempo, negoziati, capacità di apprendimento. Non è facile per i franchisor individuare i giusti franchisee e viceversa”. Insomma, spesso il primo gap da colmare è proprio di natura relazionale.
6. Sabato: Ma sarà davvero conveniente investire nel commercio in periodo di crisi?
Ecco una delle domande più insidiose per il neo imprenditore. Certo, la formula del franchising offre un utile salvagente e sicuramente gode di buona salute (negli ultimi tre anni ha portato a casa circa 23 miliardi di euro, l’1,2% del Pil), ma è fondamentale redigere un’approfondita analisi di mercato prima di scegliere dove investire.
Secondo le ultime ricerche, sul podio dei settori più promettenti in capo di franchising, siede la grande distribuzione del food (da sola il 30,6% del fatturato totale) dalle grandi catene stile McDonald’s alle new entry del cibo bio e veg. Un gradino più in basso, il comparto di prodotti e servizi specialistici, dalle cliniche dentali alla distribuzione automatica.
Infine, l’abbigliamento che pesa per il 6,4% sul fatturato nazionale ma che negli ultimi due anni è andato diminuendo. Interessanti, anche i settori di ristorazione rapida, pizzerie e caffetterie. Da non sottovalutare: asili nido, ludoteche e servizi wellness come centri benessere e palestre che creano un giro di affari da circa 230 milioni di euro l’anno.
7. Domenica: E se il mio franchisor perde appeal?
“E’ un po’ come un produttore di automobili che perde quote di mercato: i concessionari non possono farci nulla” – ammette l’Avv. Prof. Aldo Frignani, Ufficio Legale di Assofranchising.
Sappiamo bene, però, che la reputazione di cui gode il brand al quale ci siamo affiliati è di importanza vitale per il nostro piccolo punto vendita per cui, anche se ogni caso di (eventuale) fallimento è a sé, converrà sempre tutelarsi, per quanto possibile.
Sarà utile richiedere gli ultimi bilanci del gruppo, così da testarne la solidità e l’andamento del fatturato negli anni, valutare la fattibilità del modello di business proposto, che dovrà essere semplice e facilmente ripetibile, informarsi sul tasso di turnover per capire la durata media di altri franchisee sotto la stessa casa madre e considerare il tempo di ammortamento stimato per rientrare dall’investimento iniziale. Per la serie: non succede, ma se succede…
di Silvia Pagliuca da corriere.it
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