Il primo a parlarne è stato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, presentando l’ultima versione dei provvedimenti anticrisi, si è dichiarato pronto a sostenere con appositi finanziamenti l’autoimprenditorialità in tutti i settori. Retail compreso.
Che, non a caso, è tra i pochi comparti che continua a crescere, creando occupazione e mitigando in parte i dati drammatici della cassa integrazione, dei licenziamenti e, laddove si può, dei prepensionamenti. Posso testimoniarlo personalmente come presidente di Confimprese: non sono pochi i nostri associati che, nonostante l’attuale congiuntura, continuano ad assumere e a svilupparsi.
In Fini fast, società del settore ristorazione, per esempio, si stanno creando un centinaio di posti di lavoro; nei negozi di prodotti biologici NaturaSì l’imprenditore Felice Lasalvia Di Clemente prevede l’ingresso di 50 persone per quest’anno e di altre 40 per il 2010; nella rete del gruppo Cremonini il numero degli assunti arriva addirittura a 450 sia nella ristorazione in concessione sia in quella commerciale.
Ormai commercio moderno e franchising rappresentano il 23% del Prodotto interno lordo sul totale dei servizi prodotti in Italia. Ma l’innovazione del settore è ancora più radicale, se così può dirsi, a causa non solo delle mutate condizioni economiche, ma anche del diverso atteggiamento del consumatore, che oggi chiede prodotti di qualità, prezzi adeguati e rassicurazione: insomma, quello che gli esperti di marketing definiscono «value for money».
Non solo. Il consumatore, oggi, spende meno, cerca valore e non è più disposto a pagare inefficienze produttive, distributive e di vendita. In una parola, sta diventando sempre più selettivo e non esita, per questo, a cambiare i suoi modelli d’acquisto.
Il trend, insomma, è chiarissimo: i piccoli negozi e quelli «unbranded» sono destinati a essere sostituiti da punti vendita in grado di garantire quei valori nuovi che oggi sono fondamentali nella decisione di acquisto del consumatore. Ecco perché ci si attende una forte trasformazione del retail: i punti vendita, da strutture indipendenti, devono diventare organizzazioni identificabili con un’insegna garante dei valori che l’acquirente cerca. Sia i negozi di proprietà sia quelli in franchising rivestono un valore particolare, in quanto sono in grado di creare massa critica, accelerare lo sviluppo e fornire risorse economiche per potere investire sulla marca comunicando al consumatore i valori del network.
Come presidente di Confimprese da sette anni sostengo che bisogna aumentare la flessibilità e la produttività del lavoro, completare il processo di liberalizzazione del mercato, alleggerire la pressione fiscale, semplificando le procedure amministrative e fiscali. In Italia c’è ancora troppo burocrazia e i costi lungo l’intera filiera sono molto elevati. Per permettere al retail di svilupparsi e crescere è necessario che si abbattano i costi dei processi logistici e che si implementino le infrastrutture. I migliori retailer sono quelli che riusciranno a offrire prodotti di alta qualità sostenendo il minimo delle spese distributive.
Un vero e proprio appello, in un periodo di crisi occupazionale, a considerare il franchising come opportunità di lavoro. È quello che giunge per bocca di Patrizia De Luise , presidente della Fif, la Federazione italiana franchising, organizzazione che fa capo a Confesercenti e che raggruppa oltre 70 marchi franchisor e più di 4 mila affiliati. Un appello convinto che, però, si accompagna a un’importante precisazione, soprattutto in considerazione delle parole espresse dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che ha invitato tutti i disoccupati a trovarsi un lavoro.
«Io condivido l’invito del premier e non posso che rilanciare il franchising come possibile area di sbocco. Ma voglio sottolineare che questa non può essere la soluzione al problema della disoccupazione, ma solo un modesto contributo. Le misure da prendere sono altre».
A che cosa si riferisce?
Penso innanzitutto alla carenza di infrastrutture che crea difficoltà di sviluppo in generale e nello specifico anche a tutte le aziende commerciali, comprese quelle che operano nel franchising.
Nello specifico, quali sono i principali problemi che mettono in difficoltà il franchising?
Il nostro settore è costituito soprattutto da piccole aziende e quindi le difficoltà da affrontare sono quelle tipiche di questa categoria. In primis c’è il nodo del credito: le banche hanno ricevuto ingenti sostegni dallo Stato ed è giusto che ora comincino a garantire finanziamenti alle imprese.
Quindi, basta riaprire il rubinetto del credito per ritrovare slancio?
No, non basta. Poi c’è il tema della tassazione. Bisogna fare uno sforzo per riallineare i parametri di imposta con le entrate reali delle imprese. È per questo che abbiamo chiesto una revisione degli studi di settore.
Però, nonostante tutto, il franchising resta un potente fattore anticiclico.
Da tempo, ancor prima del settembre 2008 quando è iniziata tecnicamente la recessione, abbiamo sostenuto che il modello del franchising poteva essere uno strumento ideale per sostenere lo sviluppo. Le ragioni sono quelle che vado ripetendo da sempre: ci sono ingenti economie di scala che riguardano sia gli investimenti sia la comunicazione pubblicitaria. Vantaggi competitivi che in un periodo di crisi sono ancora più evidenti.
E poi c’è l’attività sindacale e politica delle associazioni di categoria come la Fif…
Noi svolgiamo una funzione di supporto e di incentivazione: appoggiandoci alla rete delle sedi Confesercenti abbiamo aperto tanti franchising point proprio per informare sulle opportunità economiche offerte da questo settore.
da BLOGONOMY